Alienazione parentale: il punto della Cassazione

In ambito psicologico si suole parlare di sindrome da alienazione parentale (P.A.S., Parental Alienation Syndrome) quando un figlio minorenne si allea con uno dei genitori, rifiutando la relazione con l’altro genitore senza legittime ragioni. Ciò avviene, generalmente, nell’ambito di separazioni conflittuali.
La fondatezza scientifica di questa “sindrome” è ancora fortemente discussa, ma può essere descritta come una disfunzione della relazione, innescata da comportamenti devianti di un genitore (quello “alienante” o “dominante”) e resa possibile dal contributo diretto o indiretto dell’altro genitore (quello “alienato” o “succube”), con l’attivo coinvolgimento del figlio.
Le soluzioni per risolvere questa problematica sono parimenti oggetto di accesa discussione: alcuni sostengono che l’unica via per superare la P.A.S. sia quella di allontanare totalmente il figlio dal genitore alienante-dominante e collocarlo presso il genitore alienato-succube; altri considerano tale opzione controproducente ed eccessivamente traumatizzante e pregiudizievole per il minore coinvolto.

Rilevanza giuridica della sindrome da alienazione parentale

La sindrome da alienazione parentale, pur afferendo al mondo psicologico, viene sempre più frequentemente citata nelle aule di giustizia, in particolar modo nell’ambito dei procedimenti di separazione o divorzio conflittuali.
Alcuni giudici, “diagnosticata” la P.A.S. dai consulenti tecnici d’ufficio (psicologi/psicoterapeuti) chiamati a svolgere accertamenti, in alcuni casi si sono integralmente uniformati ai pareri di tali consulenti, disponendo, senza ulteriori riflessioni giuridiche, un radicale allontanamento dei figli dai genitori ritenuti alienanti: in molti casi i minori sono stati affidati in via esclusiva al genitore alienato e sono state imposte visite protette con il genitore considerato alienante.

L’orientamento della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza n. 13217 pubblicata nel maggio del 2021, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulla rilevanza della P.A.S. in ambito giuridico. La vicenda sottoposta all’attenzione della Corte riguardava una coppia di genitori, uno dei quali (la madre) era accusato dall’altro (il padre) di alienazione parentale: con il decreto impugnato davanti alla Cassazione, la Corte d’appello di Venezia aveva disposto l’affido “super-esclusivo” della figlia minore al padre e visite protette fra madre e figlia.
Nel decidere sul caso, la Corte di legittimità ha innanzitutto richiamato il proprio orientamento sul tema, già manifestato in altre pronunce: “in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti … ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”.
Fatta questa premessa, la Corte di Cassazione ha rilevato che:
1. le consulenze tecniche su cui si era fondata la decisione della Corte d’Appello veneziana si erano limitate a diagnosticare una P.A.S., nonostante il “controverso fondamento scientifico della sindrome” e “senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche”;
2. il contenuto e le conclusioni delle consulenze erano in molti punti generici e non chiari a proposito della asserita carenza delle capacità genitoriali della madre: pur avendo quest’ultima, in alcune occasioni, ostacolato o impedito le visite del padre alla figlia, mancavano condotte di oggettiva trascuratezza o incuria verso la minore;
3. non erano stati considerati gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore e le possibili conseguenze di una brusca sottrazione della minore alla madre, in un periodo così delicato per lo sviluppo psicofisico della bambina.
La Corte di Cassazione ha inoltre osservato che, in materia di affidamento dei figli minori, “il giudice deve attenersi al criterio fondamentale rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore”.
Nel caso esaminato, la Cassazione ha escluso che la Corte d’appello, nel disporre l’affidamento esclusivo della figlia al padre sulla base delle risultanze delle consulenze tecniche svolte, avesse garantito il migliore sviluppo della personalità della figlia stessa.
Per tutte queste ragioni, la Cassazione ha cassato la decisione della Corte d’Appello di Venezia, rinviando il caso alla Corte d’Appello di Brescia per una nuova decisione.
Al di là delle considerazioni giuridiche, ciò che è certo è in questi casi di altissima conflittualità a farne le spese sono sempre i minori coinvolti.
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