Possibile l’impianto di embrioni congelati anche contro la volontà dell’ormai “ex” marito

 

Questo è quanto è stato recentemente deciso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con una sentenza molto interessante ma certamente destinata a far discutere.

IL CASO

La pronuncia trae origine da una vicenda riguardante una coppia di coniugi che, fallito un primo tentativo di impianto di embrione fecondato tramite procreazione medicalmente assistita (P.M.A.), aveva deciso di separarsi. Tuttavia, a seguito della separazione, la moglie si era rivolta al Tribunale onde ottenere, nonostante la contrarietà dell’ormai “ex” marito, l’autorizzazione ad impiantare gli embrioni residui a suo tempo congelati.

LA DECISIONE

La sentenza del Tribunale campano, che può apparire controversa, è invero in linea con il quadro normativo attualmente vigente, nonché con altre precedenti pronunce sul tema.

Va infatti evidenziato che l’art. 6 della legge 40/2004 (legge che disciplina la P.M.A), stabilisce che ciascun membro della coppia può revocare il proprio consenso alla P.M.A. fino al momento della fecondazione dell’ovulo. Si deve inoltre considerare che l’art. 1 della citata legge prescrive che il ricorso alla procreazione assistita assicuri “i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.

In base alle richiamate norme si è pronunciato nel 2019 anche il Tribunale di Lecce, sancendo che “la morte del partner non ostacola il trasferimento intrauterino degli embrioni conservati”.

Del medesimo avviso anche la Corte di Cassazione, la quale, nel 2017, ha statuito che “dopo l’attivazione della tecnica di preparazione dell’embrione destinato all’impianto il consenso del padre è irrevocabile”: il marito della donna non può dunque più revocare il consenso in precedenza prestato e sottrarsi al riconoscimento del figlio. A tal proposito la Corte ha rilevato che se ciò fosse consentito, anche in un momento successivo alla fecondazione dell’ovulo, si violerebbe la tutela costituzionale degli embrioni e la susseguente azione di disconoscimento priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo e assistenziale.