Quand’è che un coniuge ha diritto di essere mantenuto dall’altro dopo la separazione o il divorzio? Come si quantifica il mantenimento del coniuge?

Tema caldo (anzi, direi caldissimo) che spesso genera discussioni.

Le risposte cambiano, a seconda che si sia nell’ambito di un procedimento di separazione oppure di un procedimento di divorzio.

Mantenimento del coniuge in sede di separazione

Con riferimento alla separazione, l’art. 156 codice civile prevede che un coniuge abbia diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento qualora non abbia “adeguati redditi propri”.

In altre parole, dopo la separazione un coniuge ha diritto di essere mantenuto dall’altro qualora non abbia redditi propri oppure, pur avendo redditi propri, questi non gli consentano di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Deve dunque esserci una disparità economica fra i coniugi.

Attenzione: non ha diritto all’assegno di mantenimento il coniuge a cui sia stata addebitata la separazione (per un ripasso sull’addebito, vi invito a leggere questo articolo).

L’importo dell’assegno di mantenimento, come disposto dal menzionato articolo 156, è determinato “in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.

Mantenimento del coniuge in sede di divorzio

Nell’ambito del divorzio, invece, dal 2018 i presupposti per ottenere l’assegno divorzile sono cambiati e il parametro del tenore di vita è stato totalmente abbandonato.

Oggi, secondo la giurisprudenza, ai fini della concessione del beneficio divorzile è necessario verificare la sussistenza di due presupposti (che devono essere provati da chi domanda di ricevere l’assegno):

  • se vi sia una disparità reddituale fra i coniugi;
  • (solo qualora il primo presupposto sia soddisfatto) se detta disparità reddituale “sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare”.

In parole povere, va valutato se la debolezza economica del richiedente derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali, sacrificio motivato dal fatto di aver dedicato tempo ed impegno alla famiglia, così contribuendo (anche indirettamente) alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge.

Come previsto dall’art. 5 della legge sul divorzio (L. 898/70), la misura dell’assegno va determinata tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

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